I suoi ultimi romanzi non mi avevano entusiasmata, e certo Goliarda Sapienza, Joyce Carol Oates e Toni Morrison hanno penne migliori, sotto il profilo letterario, ma ho sentito Marianne come nessuna, e resta una delle scrittrici che amo più visceralmente. Le avevo scritto una lettera, mille anni fa, e di ritorno mi aveva risposto la sua casa editrice, dicendomi che mi scrivevano da parte sua per dirmi che lei voleva che io fossi la sua promotrice e traduttrice per l’Italia. Mi sarebbe piaciuto moltissimo ma all’epoca non avevo contatti nell’editoria, e non me la sono sentita di fare la promotrice/traduttrice precaria, buttandomi alla fine sul posto fisso. È uno dei pochissimi rimpianti della mia vita. Spero che dal mio coccodrillo si sentano le lacrime, perché le ho piante davvero.
Parte di questo pezzo è stato pubblicato anche da Diario nel marzo 2007.
Rtf qui.
MARIANNE CHE NON AVEVA PAURA DI DIO
Domenica scorsa è morta Marianne Fredriksson, la più famosa scrittrice contemporanea svedese. I suoi romanzi sono stati tradotti in 47 lingue e hanno venduto milioni di copie in tutto il mondo. La ragione di questo successo sta sicuramente nella sua capacità di parlare dell’essere umano nella sua interezza, dei suoi conflitti, del suo bisogno di autodeterminazione. E quindi soprattutto della donna, nel Novecento più libera ma al contempo più dilaniata dalla difficoltà di crearsi un nuovo ruolo, in bilico tra la sua funzione sociale in ambito familiare e la costruzione di un nuovo stile di vita, con tutte le scelte anche etiche che ciò comporta.
Ma il femminismo di Marianne Fredriksson è ancora più sottile, legato a temi più universali che contingenti, e spesso si allarga paradossalmente anche al genere maschile, come se il confine del profondo fosse più labile. La sua visione dell’essere umano fa riferimento a quella archetipale di Jung, e quindi i suoi protagonisti – maschili e femminili – esprimono la forza dei personaggi della tragedia classica, e vengono narrati con tale scabrezza psichica da essere sempre e comunque personaggi contemporanei. Questo nonostante molti dei romanzi della Fredriksson, soprattutto i primi, siano svolti a partire da temi classici della Bibbia, in particolare della Genesi. In questi romanzi (non ancora tradotti in italiano), l’autrice mette in primissimo piano la relazione tra l’essere umano e il suo creatore, ponendo il problema di quanto l’uomo debba staccarsi da una figura di padre – protettivo o minaccioso che sia – per assumere su di sé la responsabilità delle proprio essere. Si tratta di un cambiamento circolare che coinvolge tanto il passato quanto il futuro: l’accettazione delle proprie esperienze negative deve diventare una coraggiosa presa d’atto che produce “distacco” dal passato, in modo da vivere il futuro assumendosi responsabilmente il potere del proprio destino, senza alibi, senza scappatoie comode, senza un dio o un apparato religioso.
Un rifiuto quindi di qualsiasi credo o dottrina che sottragga l’uomo e la donna dall’assunzione laica di ogni scelta di vita, accompagnata o meno da una fede nel divino o nello spirituale.
In questo senso la Fredriksson supera il contrasto tra religione e ateismo, ponendo solo l’essere umano e la sua capacità di elaborare i nodi del passato come centro e fulcro di ogni possibile scelta di vita, fosse anche quella del suicidio, come accade nel suo ultimo romanzo “Verità separate”.
In questo senso il suo “manifesto” più diretto è quello legato al romanzo dove presenta una versione molto inedita di Maria di Magdala – tradotto in italiano con il titolo “La prescelta. Maria Maddalena” – nel quale la più amata da Gesù ricorda a Paolo che il Nazzareno non voleva che la sua parola fosse scritta, non voleva leggi e precetti come quelli della Bibbia, ma solo che ogni uomo e donna avesse come riferimento unicamente la propria coscienza, il proprio punto di vista etico-morale. Parole purtroppo inascoltate.
Peccato che il successo di Marianne Fredrikkson in Italia non sia stato così eclatante. Ad oggi sono usciti sei titoli, tutti con Longanesi; una delle probabili cause è da imputare a copertine “femminili” molto inadeguate e poco rappresentative della sua reale poetica, che ne hanno un po’ offuscato la vera immagine, potente e anticonvenzionale, unitamente a traduzioni troppo scarne. Tra le sue opere migliori, oltre quelle citate, è importante ricordare “Simon” e “Den som vandrar om natten”, letteralmente “Colui che vaga nella notte”, un romanzo yourcenariano ambientato nell’antica Roma purtroppo non ancora tradotto in italiano.