Che il diritto di aborto sia sotto grave attacco da ogni parte è un fatto di una gravità assoluta perché significa che abbiamo perso quella forza che credevamo quasi ovvia e scontata di decidere (almeno in Occidente) sui nostri corpi e sulle nostre vite. In modo autonomo, personale, insindacabile, legale, garantito.
Qualche anno fa ho iniziato a lavorare a un progetto sull’interruzione di gravidanza, su stimolo di Carola Susani. È un progetto che non ho potuto completare ancora, per ragioni pratiche, ma sono sempre più decisa a portarlo a termine. Durante questo lavoro documentario, prevalentemente attraverso interviste, ho parlato con alcune donne che avevano effettuato una IVG in passato, scoprendo quanto fosse presente e forte il desiderio, vorrei quasi dire il “bisogno”, di parlare della loro esperienza. Non certo perché fosse corredata da un rimpianto o rimorso, sul quale non mi sono imbattuta finora, ma perché si era trattato comunque di un’esperienza carica di emotività e riflessioni, di sentimenti che coinvolgevano il rapporto con il partner, l’idea di figli come parte problematica di alcune scelte di vita. C’era in tutte la consapevolezza che fosse stata una scelta che avrebbe/aveva alterato il corso della propria vita, spesso in senso ritenuto positivo.
Trovo molto provocatorio quindi leggere in questi giorni una serie di prese di posizione pro IVG che partono da un approccio a mio avviso piuttosto manipolatorio, puntando a una versione Wonder Woman della donna che “ha abortito e sta benissimo”, come se il tutto fosse stata una passeggiata senza conseguenze, con il risultato di veicolare due messaggi: il primo è che una femminista non dovrebbe avere sentimenti negativi rispetto alla propria scelta e che con insensibilità (molto machista) dovrebbe ribadire la leggerezza emotiva di una tale scelta – e quindi se invece la problematizzi, sei sbagliata.
La seconda è che il discorso emotivo e sentimentale finisce per essere un “argomento” a favore dell’IVG, come se questo avesse minimamente a che fare con il motivo per cui si compie questa (non sempre facile) scelta. Per molte donne abortire è solo un sollievo che vale per tutta la vita, per altre un grande dispiacere (per quanto nulla di cui si pentano mai), per altre è un rimpianto o persino un rimorso. Ma in qualsiasi caso, la scelta spetta solo e unicamente alla donna che la compie, nel pieno diritto di valutare la sua personale situazione emotiva, economica, sentimentale, pratica e psicologica. Nessuno ha diritto di dire a una donna cosa fare della propria gravidanza e cosa sentire a proposito della sua interruzione volontaria. Possibile che non sia possibile difendere l’aborto senza obbligare le donne a un sentimento o a una mancanza di sentimento? Non è sulla base di uno scimmiottamento dell’atarassia maschile che si difende il diritto ad abortire. Un diritto è un diritto e basta, non qualcosa su cui si possa fare paternalismo sui sentimenti della donna, che siano positivi o negativi. Siamo donne, continuiamo a fare le cose con la nostra emotività, è questa la nostra forza. Lasciamo certe ridicole mascolinizzazioni del femminile a fumetti televisivi come Game of Thrones.
Un grazie gigantesco a Eliana Como che ha creato questa strepitola illustrazione per l’articolo <3