Searching for Jupiter, il nuovo album di Magnus Öström: la bellezza che resta dopo l’Esbjörn Svensson Trio

Inauguro con questo pezzo la mia collaborazione con il magnifico sito Jazzitalia, per il quale mi occuperò prevalentemente della musica che preferisco in assoluto, il modern jazz scandinavo. Non potevo  che cominciare con quello che per è uno dei dischi più belli della storia del jazz… godetevelo!


C’era una volta l’Esbjörn Svensson Trio, una band che aveva bruciato tappe e sbriciolato distanza tra jazz e rock/pop, inventando una terza via dove l’eleganza rauca e sporca dell’una si fondeva senza punti di sutura nella potenza ruvida o nella giocosità lieve dell’altra; un luogo musicale nuovo che aveva e ha raccolto come un paziente rastrello fans eterogenei, dai puristi del bop agli amanti del post rock, con le dita dei musicisti del trio, Esbjörn Svensson al piano, Magnus Öström alla batteria e Dan Berglund al contrabbasso, a carezzare qualsiasi suono, dal più melodico al più dissonante, senza cesure tonali o di ispirazione. Una band che come nessuna altra aveva bucato il diaframma del proprio confine europeo per essere acclamata in tutto il mondo come la migliore formazione jazz del momento.

Con la morte prematura di Esbjörn (in un incidente, cinque anni fa, durante una banale immersione) il mondo dal jazz ha tremato – e i suoi compagni hanno passato mesi veramente difficili – per la paura che fosse andata perduta un’alchimia fra tre personalità musicali uniche. Ma poi sono arrivati i lavori solisti di Öström e Berglund, e abbiamo respirato di sollievo.
Forse chi è restato più nel solco svenssoniano è stato proprio Magnus Öström, che senza tentare di sostituire o far scimmiottare Esbjörn da un pianismo simile e ricalcato, ha piuttosto aggiunto la chitarra per rinforzare melodia e armonia, dandole spesso spazio come all’E.S.T. l’aveva più volte prestata Pat Metheny, in studio e live. E dopo un primo raccolto e splendido album dove ha rialzato la testa alla vita, Thread Of Life (in cui gli stessi Metheny e Dan Berglund suonano in Ballad For E, dedicato alla memoria dell’amico scomparso), Öström ha da poco pubblicato un nuovo CD con quasi la stessa ottima formazione del precedente, ovvero Andreas Hourdakis alla chitarra e Thobias Gabrielsson al basso, ma con Daniel Karlsson al piano al posto di Gustaf Karlöf.
Un album a dir poco strepitoso questo Searching For Jupiter, un disco che dopo tre ascolti entra già nel sistema neurovegetativo, con una varietà di suoni e ritmiche, ispirazione, e un senso della melodia quasi incredibili per un batterista; Öström poi dosa il proprio strumento con grande equilibrio, e il tutto viene esaltato da un mix audio perfetto, effettuato dal “solito” Åke Linton della Bohus Sound Recordings. Öström si concede un unico magnifico assolo ed è invece generoso e giocoso nell’offrire spazio agli arpeggi di Hourdakis che pur avendo chiaramente appreso la lezione di Metheny, riesce a imprimere una dolcezza e malinconia tutta nordica ad alcuni suoi fraseggi, nonostante la sua origine greca, soprattutto nel primo brano di sapore progressive, The Moon (And The Air It Moves) dove anche il piano tocca momenti di rara intensità.
Nel secondo, Dancing At The Dutchtreat, gli strumenti lavorano soprattutto di ritmica con momenti sincopati di grande efficacia, con batteria e chitarra che si rincorrono in levare fino a un atterraggio sonoro appoggiato su un fondo di elettronica.
Atmosfera delicata e quasi silenziosa per Mary Jane Doesn’t Live Here Any More, terza traccia introspettiva con dominanza di piano e spazzole, un sottovoce di malinconia sussurrata, mentre il quarto pezzo, la title track, ha un piglio virile, quasi autoritario, con un attacco alla Rick Wakeman finché non entra la chitarra a fondere il metallo in una colata di lucente miele, spazzato poi via da uno dei migliori pezzi di basso dell’intero album, che sfuma dentro una batteria quasi solitaria fino alla nuova colata di chitarra.
Hour Of The Wolf è il quinto e darkissimo pezzo post rock, filmicamente drammatico, con punti ipnotici da shoegaze dove l’effetto da “seconda chitarra” è ottenuto con il pianoforte, mentre la solista rockeggia cupissima in uno scenario post-bellico.
Through The Sun invece è uno dei pezzi più deliziosamente E.S.T., con una vocazione spensierata e allegra, e gli strumenti in armonia a creare giochi di variazione ritmica, con un bell’assolo di basso che sarà fantastico ascoltare dal vivo, prima o poi. La settima traccia, Happy And The Fall, torna a spunti più metheniani e all’apparenza “semplici”, ma in realtà molto articolati soprattutto nella parte di pianoforte: si ha la sensazione che dal vivo questo potrebbe essere uno dei pezzi con maggiore spazio per assoli e improvvisazione.
Si torna al sottovoce col penultimo pezzo, Jules And Jim’s Last Voyage, con un avvio che ricorda J. S. Bach sotto il profilo compositivo, un pezzo quasi classico che introduce in modo molto meditativo l’ultimo sfavillante brano dell’album, la [più] bella At The End Of Eternity: una batteria quasi inarrivabile non solo per invenzione ed esecuzione, ma per l’incredibile varietà di spunti che offre agli altri strumenti, che ci si accoccolano dentro come dita in un guanto, fino ad acquietarsi per il superlativo lunghissimo assolo centrale di un pezzo che davvero non riesco mai ad ascoltare una volta sola: devo metterlo a repeat come una bimba incantata che si fa raccontare mille volte la stessa fiaba dalla nonna, per finire la sua minestra.
Mentre Esbjörn, dalle Grandi Praterie, ascolta con qualcosa di più che un semplice sorriso.

Nella foto di copertina di Thread Of Life facevi pensare a un’antica statua bronzea di un perdente eroe omerico, spiaggiato e senza difese, con uno scudo incapace di proteggerlo. Un uomo nudo con uno stanco desiderio di fede in qualcosa. Anche se sei ancora “Alla ricerca di Giove” [Searching for Jupiter] pare tu sia riuscito a compiere un lungo cammino da allora. La musica può essere una cura nel suo essere resiliente al dolore?
Non so se la musica sia di per se stessa resiliente al dolore, ma può certamente alleggerirlo. Da una serie di ricerche scientifiche è emerso che la sensazione di reazione alla musica sia una delle ultime cose che un essere umano perda. Per me la musica è sia un modo per andare avanti che un modo per fare pace con il passato, almeno fino a certo punto. 

Una delle cose che mi colpisce di più di questo album è la sua varietà: ciascun pezzo fa storia a sé per quanto riguarda ispirazione, composizione, arrangiamenti, melodia, armonia e persino genere. È qualcosa che hai cercato di ottenere consapevolmente, o la tua creatività è semplicemente così ampia?
La mia musica esce così. Siamo tutti la somma delle nostre esperienze, che siano musica, cibo, sport, o semplicemente la vita. io compongo in modo molto intuitivo quindi la mia musica è proprio ciò che io sono. Riflette proprio i miei diversi aspetti. 

In che modo collabori con i tuoi partner? Coinvolgi i tuoi musicisti in alcune parti della composizione o è un tuo prodotto al 100%? Hai seguito anche il mix audio?
Mi occupo di quasi tutto in prima persona, e ho idee molto chiare su ciò che voglio, ma trovo importante lasciare ai musicisti spazio per esprimere la propria personalità. La musica avviene proprio nell’istante della frizione tra te e la persona con cui ti confronti…
Sì, curo moltissimo il mix e il mastering. Quando produci il tuo lavoro devi esserci dall’inizio alla fine, almeno per me è così. Ma ovviamente hai bisogno di gente fantastica vicino che ti aiuti a realizzare le tue idee.
Sono molto grato sia a Janne Hansson, l’ingegnere del suono e proprietario della Atlantis, lo studio dove ho registrato l’album, che a Åke Linton, che lo ha missato. E alla band, naturalmente!

In un’intervista hai detto che ogni tanto pensi a cosa faresti se smettessi di essere un musicista. La domanda che ti pongo con un po’ di paura è: cosa ti farebbe smettere?
Non so… se smettessi di avere idee, se non mi divertissi più, o meglio, se il mio corpo smettesse di sentire il bisogno di suonare e comporre, allora smetterei.

Stai suonando in tutta Europa con un tour di grande successo che ti sta portando in UK, Germania, Austria e altri paesi, ma non in Italia per il momento. C’è una possibilità che suonerai anche qui?
Abbiamo avuto alcuni accordi preliminari per alcune date, ma non si sono concretizzati, il che è molto triste perché amo molto l’Italia e ci ho suonato spesso sia con l’E.S.T. che con Lars Danielsson. Spero davvero che suoneremo presto in Italia!

Immagini fornite da Air Artist Agency

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