Ho messo un saluto di uscita sul sito de iQuindici ma nella fretta non avevo ancora fatto in tempo a mettere due righe qui. Penso siano doverose soprattutto nei confronti di me stessa, e poi nei confronti del progetto che ha animato la mia vita per oltre 6 anni.
25, 30, a volte anche 40 ore di lavoro settimanale per iQuindici sono state veramente una grandissima fatica ma penso di aver ricevuto più di quanto ho dato. La forza politica di questo progetto culturale è stata contagiosa per tutta la mia vita e mi ha portato a incontri bellissimi che l’hanno cambiata per sempre.
È stato molto commovente ricevere in questi giorni decine di ringraziamenti e saluti spesso molto densi di emotività da persone che mi hanno anche conosciuta pochissimo, come i lettori “esterni” che hanno magistralmente affiancato il gruppo in questi ultimi due mesi di grande rush di smaltimento del nostro cronico arretrato; li voglio ringraziare di nuovo qui, hanno fatto un lavoro strepitoso e mi hanno permesso di uscire dal gruppo con la coscienza tranquilla che il grosso era smaltito. Non so se ho meritato davvero così tante parole belle, ma mi hanno davvero commosso quelle di Yari Selvetella, un grande e giovane scrittore in questi giorni in libreria con il suo ultimo romanzo Newton Compton “Uccidere ancora”, dedicato alla mattanza del Circeo (ve lo consiglio, è bellissimo), che qualche minuto fa mi ha scritto inviandomi questa poesia di Montale:
Godi se il vento ch’entra nel pomario
vi rimena l’ondata della vita:
qui dove affonda un morto
viluppo di memorie,
orto non era, ma reliquiario.
Il frullo che tu senti non è un volo,
ma il commuoversi dell’eterno grembo;
vedi che si trasforma questo lembo
di terra solitario in un crogiuolo.
Un rovello è di qua dall’erto muro.
Se procedi t’imbatti
tu forse nel fantasma che ti salva:
si compongono qui le storie, gli atti
scancellati pel giuoco del futuro.
Cerca una maglia rotta nella rete
che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!
Va, per te l’ho pregato, – ora la sete
mi sarà lieve, meno acre la ruggine …
Lascio a custodia del gruppo i miei moai fotografati tre mesi fa all’Isola di Pasqua. Il sito si chiama proprio “dei quindici” e si trova ai piedi dell’insensata fabbrica dei moai. Storie di soprusi del forte sul debole che fatalmente produce anche arte vibrante, nonostante tutto. Dai diamanti non nasce niente, le statue le scolpivano gli oppressi.
Spero che il banner che ho regalato al gruppo poco prima di andar via serva a proteggerlo dalle intemperie politiche di questi giorni di merda e a fare in modo che continui a produrre cultura e quindi opposizione. Io continuerò a farlo da qui.