“Discount or Die” (a cura) di Valeria Brignani, Nottetempo
Due vite fa abitavo in una villetta dove il mio (ex) marito sembrava volersi esercitare alla gestione di un ristorante: un porto di mare con pranzi e cene talmente estesi da rendere quasi improcrastinabile, a un certo punto, la visita alla toilette. In quella del piano terra per lungo tempo campeggiava un libro dal titolo asciutto e invitante “Guida al consumo critico”. Credo che l’editore abbia con me un debito di riconoscenza: piazzato lì, non ha mai mancato di attrarre l’attenzione dei nostri ospiti, e so che molti l’hanno poi acquistato. Mi auguro che anche loro l’abbiano poi riposto lì: nella toilette.
Credo che il libro di Valeria Brignani – raccolta delle migliori recensioni di prodotti da discount scelte dal blog che porta lo stesso titolo del libro – meriti la stessa sorte, o forse addirittura una sorte migliore: perché rispetto all’esaustivo, soddisfacente, motivato e preciso manuale di guida al consumo, Discount or Die ha qualcosa in più.
Per cominciare, la scrittura di Valeria Brignani: la sua grinta, la sua intelligenza e arguzia, la sua inventiva di metafore, situazioni, pensieri. Si può parlare di uno yogurt senza nome avocando Giulietta e Romeo, William e Kate e infine i Joy Division, senza che Valeria Brignani ti lasci mai la mano? E accostare tramezzini e gattini Ninja a David Foster Wallace si può? Certamente. E al grande DFW sarebbe piaciuto, molto, perché ci sono striature del suo mondo in questa concretezza così prosaica con vertigini di poesia, intuizioni che ti fanno salire e scendere dalle montagne russe del consumo e del suo antidoto.
Discount or Die non è un manuale tecnico per fare la spesa, ma un testo a suo modo rivoluzionario per almeno un paio di ragioni. La prima consiste nel suo approccio anti-ideologico: nessuna competenza scientifica o spacciata per tale, rifiuto di serietà e persino di obbiettività nel parlare di un prodotto, rivendicando invece la volontà di esprimere giudizi soggettivi, di parte/partigiani, sentimentali, emotivi, politically non-correct, basati sul gusto, sul piacere, come (quasi) unico criterio. Discount or Die non accetta dogmatismi, non ne offre. Anzi nasce come blog proprio perché vuole consentire a chiunque di commentare, controbattere, argomentare a favore o contro le recensioni dei prodotti, condividendo all’estremo il sapere in modo che da questo scambio possa nascere una “comunità”, povera ma felice, convinta di essere sulla strada giusta, come i libri parlanti di Fahrenheit 451.
La spontaneità e soggettività delle recensioni contenute nel libro potrebbero far pensare che questo libro sia molto poco “politico”, ma è decisamente il contrario, e in questo sta un altro dei suoi contenuti “rivoluzionari”. Come nei libri tipo “Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta” di Pirsig raccontare aspetti pratici, avvenimenti, o descrivere cose, è in realtà un modo per indicare una filosofia di vita. Quella di questo libro è una dichiarazione implicita di non rinuncia al desiderio, al piacere, alla vita. La morale è questa: saper spendere il meno possibile serve a dare un’opportunità di felicità, di gioia, rifiutare di farsi escludere dalla vita “solo” perché precaria e squattrinata. Piuttosto che rinunciare a fare una cena con gli amici, mangiarsi un biscotto goloso o uno yogurt nutriente, a offrire un aperitivo con birra e patatine, o la frittata alla finale di Coppa, solo perché non hanno uno stipendio fisso e soprattutto decente, i bloggers di DoD trovano prodotti validi a prezzi raggiungibili. Oppure, al contrario, segnalano come terribili i prodotti da evitare, o quelli in bilico, come l’Antologia di Spoon River dove ogni lapide è narrata, che sia buona o cattiva, utile o inutile, o persino dannosa, nemica, ingannevole.
Chiediamo a Chiara Valerio di Nottetempo come è nato questo coraggioso volume a cavallo tra manualistica e letteratura. Chiara, un azzardo convinto? Convinto da cosa?
Quando è arrivata l'email di Valeria con il link al suo blog, l'ho aperto e oltre che dalla grafica sono rimasta colpita dall'idea. Colpita tanto da fiondarmi da Ginevra Bompiani per discutere la possibilità di farne un libro. Ginevra ne è stata subito entusiasta. Ci divertiva l'idea di applicare criteri che da guida d'elite a prodotti e luoghi che non sono percepiti come l'esatto contrario. Ci divertiva l'idea di smantellare con un esempio completo l'equazione, che ormai sul cibo è diventato un teorema, "se spendi tanto allora mangi bene". Ci divertiva infine il fatto che Discount or Die era già in blog – o ora assai più in formato libro dopo il lavoro di Valeria Brignani con Lavinia Azzone – fosse un esempio tangibile di No Logo e che al contrario di tutti i libri sullo shopping, fosse privo di qualsiasi senso di colpa. Anzi, orgogliosi di comprare al discount, senza pregiudizi.
Valeria, da dove è nata l’idea di Discount or Die?
Da diversi anni frequento un cineclub organizzato da un ragazzo che poi è diventato il mio compagno. È un cineclub più unico che raro e ha sempre fatto fatica a trovare spazi che lo ospitassero. Nei primi anni, i film venivano proiettati in una sorta di scantinato buio e pieno di muffe in cui abitavano diverse generazioni di topi. Non si poteva lasciare niente che fosse vagamente commestibile e quindi, ogni settimana, si andava a far la spesa. Birra, patatine e qualche chilo di pasta per i frequentatori del cineclub. Ovviamente si andava al risparmio e così, col tempo, ci siamo accorti che c'erano prodotti dei discount – soprattutto tra le birre – che erano addirittura migliori dei prodotti di marca. E così, dopo parecchie birre, spaghettate collettive e film underground, le nostre domeniche erano diventate anche un'occasione per “spingerci” nella degustazione estrema del mondo del low-cost. Dai dolcetti comprati dal negozietto rumeno alla confezione da 5 chili di fagioli borlotti. Una volta ho detto: «Dovremmo documentare tutto questo!» e così è nato il blog.
È più divertente scrivere recensioni o romanzi? E cosa è più utile?
Recensioni tutta la vita. Le scrivo in modo spontaneo e senza ansia da prestazione. Ho scoperto che attraverso l'ironia si può dire tutto o quasi. La “forma” del blog ti libera dal peso di scrivere qualcosa che deve rimanere nel tempo. Cristallizza la naturalezza dell'istante. Scrivere una recensione è come scattare un'istantanea e raccontare il qui e ora. Quando mi è stato proposto di trasformarlo in libro infatti, mi sono un po' inquietata. DoD era scritto male, senza cura, quasi fosse un flusso. Senza nessuna cura editoriale. Spesso succedeva qualcosa, leggevo la notizia sui giornali e scrivevo di getto ciò che pensavo in merito, camuffandolo in una recensione. Come ho fatto per gli scontri del 15 ottobre scorso a Roma (recensione biscotti “American Cookies”) o per la campagna “10×100 Genova non è finita” (recensione sul blog – non presente nel libro – dei risotti “Orto Mio”). Quelle recensioni vanno lette a notizia “fresca”. Non so se fra anni si potrà ancora cogliere lo spirito che le ha ispirate. Ed è per questo che, per quanto sia più facile scrivere un post, è sulla forma del romanzo che bisogna sempre puntare ed ambire. Scrivere un romanzo vuol dire creare un mondo, scrivere recensioni (o un blog in generale) vuol dire commentarlo, in un certo senso.